Commento del Prof. Salvatore Misseri
C’è tutta la passionalità della calda terra di Sicilia nella sensibilità dell’artista Francesco Attardo che, mentre lavora, continua a sentire il profumo intenso dei fiori d’arancio o la tiepida risacca della spiaggia del golfo di Noto che lambiva i suoi piedi scalzi quando marinava la scuola e lasciava naufragare la sua fantasia inseguendo le onde marine. Nonostante la lunga permanenza in Svizzera, egli è ancora fortemente legato al paese della sua infanzia in cui fin da bambino aveva osservato attentamente il territorio assolato e guardato con forte meraviglia la particolare pietra di tufo di Noto con la quale ha in seguito realizzato diverse opere di cui è notevole la Coppia di ballerini dove la forza virile, talora grezza, dell’uomo viene armonicamente contemperata dalle slanciate e flessuose forme della compagna le cui braccia delimitano il quadrante superiore del manufatto; allo stesso modo, anche la pietra asfaltina del vicino entroterra ragusano, la cui intrinseca energia sembra trasmessa alle diverse sculture con essa realizzate, ha trovato piena valorizzazione in opere quali ad esempio la Sirena dove il mitico essere si ricava una calda sicurezza al suo interno con flessione a 270 gradi, a mò di gioiello dentro un cofanetto naturale che lascia intatta la simmetria delle forme.
Maturata la vocazione artistica, Attardo è venuto a contatto con altri materiali, naturali e sintetici, tra i quali la creta, lo stucco, le resine e i poliesteri che egli impiega con tecnica sicura con esiti sorprendenti, come nel bel Nudo che è stato impreziosito con una laccatura nero-perlata i cui riflessi mettono in rilievo l’armonia delle forme e la perfetta simmetria verticale.
Esiti particolari sortiscono gli acquerelli su carta le cui limitate dimensioni le propongono come vere e proprie miniature dove Francesco Attardo è riuscito a sintetizzare le intime proiezioni “in fieri” del suo spirito, cioè i momenti in cui il flusso dei pensieri e delle sensazioni emotive cerca di farsi strada tentando di giungere al livello di coscienza: i colori dominanti vanno dal rosa variegato di Vivere al rosso rubino acceso di Subconscio e di Cercando qualcosa, dove dicotomie di colori concretizzano asperità ed elementi che talora assumono certa simbologia religiosa del proprio vissuto o la difficoltà della ricerca interiore che approda a intuizioni che diventano via via più labili sino a perdersi nell’irrazionale della dimensione astratta.
Con il tempo e con l’impegno costante il nostro artista ha appreso ed affinato varie tecniche operative accostando sapientemente materiali diversi o rivelando particolare abilità nei particolari processi di vetrificazione del gesso e della creta i cui risultati si possono ammirare, ad esempio, in Maternità e in Contadino a riposo, che propongono il tema della vita e del lavoro nelle forme più semplici, quasi stilizzate, dove, più che il particolare, viene rimarcata l’essenzialità delle forme.
Alla tecnica mista su tela l’artista ha affidato il compito di tradurre in termini umani i suoi stati emotivi, il mondo delle illusione, la magia degli incontri e la dimensione del sogno, tutti temi che hanno in comune il volo del cuore che anela a cogliere quelle “corrispondenze” cui si riferiva Baudelaire, che pure devono esistere e che tenta importanza rivestono per l’essere umano. La gradazione dei colori e le impressioni che ingenerano nell’osservatore, la sensazione di sofficità che ruota attorno al nucleo ideale delle singole opere sembra voler dare sostanza a queste condizioni spirituali strappandole alla sfera dell’effimero.
Questi acrilici sono, a parer mio, tra le cose più belle che l’arte di Francesco Attardo abbia creato, in quanto, qualunque sia la condizione negativa in cui possiamo venirci a trovare, quando la disperazione non sembra lasciar via d’uscita, l’Irreale/Reale, la Fantasia appunto, il Sogno, l’Illusione e quindi la speranza, ci consente di abbeverarsi alle sue limpide acque, ridandoci nuova linfa per continuare a lottare, a vivere, nulla rimpiangendo dell’esistenza nostra. Ciò viene confermato dall’andamento digradante dei cromatismi delle varie campiture, ben delineate ma prive di cesure nette, e i colori sono per lo più quelli tenui dell’indistinto, dell’etereo, dell’impalpabile che invitano alla calma e alla serenità il guerriero di foscoliana memoria che ruggisce dentro di noi.
Nei suoi lavori astratti relativi al subconscio, quali, ad esempio, Incubo, Subconscio, l’artista è riuscito a dare in termini coloristici antitetici talora aggrumati la tensione irrazionale che tenta di giungere a livello di coscienza. Mentre Gioia e Amare sembrano scaturiti da un’unica matrice di emozione positiva, comprovante la necessità dei rapporti interpersonali e la necessità di prosecuzione della vita, con dei colori che hanno un linguaggio talora gridato talora attenuato, quasi a voler distinguere la fase d’infatuazione che tutti i sensi coinvolge e sconvolge, da quella dell’amore consapevole e responsabile che dà l’avvio a un viaggio comune destinato a durare nel tempo e a dar significato univoco all’esperienza terrena. (Cfr. Incontrarsi, Emozione, Sognando, Figure in movimento).
Francesco Attardo sa bene che la vita è un mistero, ma le sue opere denunciano la fine della sua personale indagine per scoprirne a tutti i costi i segreti per via artistica: il mondo fenomenico è l’unico che ci è dato sperimentare, ed entro i suoi confini si gioca la nostra esistenza. Di conseguenza, la vita egli l’accetta come un dono, così com’è, cercando di coglierne sempre le positività e vivendo appieno la sua giornata, accogliendo con gratitudine la luce del nuovo mattino e ringraziando la sera che, nel suo mistero, sopisce almeno in parte le umane inquietudini. Non è, il suo, il “Carpe diem” oraziano che invita a godere pienamente il momento presente: la sua vita egli la considera una successione di momenti e di occasioni che ha cercato di cogliere e interpretare, convinto che, dopo tutto, è l’uomo a dar loro un indirizzo e a determinarne gli effetti.
“Quando guardi troppo l’abisso, l’abisso guarda te”, diceva il grande filosofo tedesco Nietzsche. Il nostro artista non si è lasciato guardare dall’abisso che si presenta come la medusa che tutto raggela: egli ha preferito guardare la luce che dà vita all’unica dimensione materica che può sperimentare, quella luce senza cui non esisterebbero i colori che fino ad oggi hanno illuminato il suo cammino di artista e di uomo.
Prof. Salvatore Misseri